venerdì 20 agosto 2010

6. Che chic... Mi si porti un fucile!

Le persone obese non sanno di esserlo e si vestono con abiti inguainati in cui anche l'aria ha seri problemi a filtrare. Le persone stempiate, non vedono quell'Alexander Platz al centro della loro capoccia e, pazientemente, spiegano che è solo stress momentaneo. Poi, il fatto che questo stress duri da 18 anni, dovrebbe magari suggerire qualcosa. Le ultrachecche non sanno di esserlo. Anzi. Dicono che sono infastiditi da quelli troppo evidenti ed esagerati e li guardano con disprezzo.

Ma per checche, intendo checche-checche. Roba da guinness. Gente che impieghi dieci minuti a capire di che orientamento è. Cioè: o sei gay o sei una donna. Per carità, rispetto per tutti, ovviamente. Io non sono attirato, ma ci sono quelli affascinati da questi efebici ragazzotti, firmati anche sul duodeno, con mutandoni D & G scritto gigantesco, pantaloni streeeeeetti come i cordoni della borsa di un genovese trasferitosi in val di Non e, soprattutto.. la voce. Mamma mia...

Vabbè...

Placida serata estiva.
Soliti messaggi.
Ultrachecca di Garnier (UdG): “Ciao, mi chiamo UdG”
P.P.: “Ciao, sono P.P.”

Grandi dialoghi d'apertura, come sempre.
Insomma, ridendo e scherzando, sempre per iscritto, mi convinco a incontrarlo. Lo sento al telefono. E mi scatta il campanello d'allarme ma, per una volta, faccio il buono. Viene dall?alto Adige e pensai: “Beh, ingrato che sono! È inutile che ti sembri una parlata strana. È tedescofono e quindi è normale”.

Salgo in macchina verso questo paesino alle porte di Bolzano.
Posteggio e mi fermo a scrutare la fauna.

Flah! Mandibolone, torace pompato, biondiccio (e vabbè la perfezione non esiste), occhio ceruleo, denti bianchissimi. Bene, sono già pronto con il bouquet in mano.
No, se ne va...
Con una cozza vestita da Heidi e dalla testa da capretta che fa ciao.

Ri-flash! Pelatello con occhio scuroscuro. Sorride tanto al mio indirizzo. Io parto con sorriso ebete. Minchia che carino. Arriviamo a un metro. Io assumo l'atteggiamento del tipo “mi-sembri-un-figo-da-paura-ma-cerco-di-non-fartelo-capire-e-sfodero-il-mio-sorriso-migliore-con occhi-succhiusi-e-...”... E una bella cippa, visto che mi passa via e va a dare generose pacche sulle spalle all'amico che si trovava dietro di me. Solo in linea d'aria. Non pensate male.

Uffa che barba. Beh, c'è di buono che non potrà mai essere quel cesso, ossigenato, con magliettina aderente e che, merda, viene qui agitando la mano e tenendo lo zainetto come una borsetta. MA NO!

UdG: “Ciao, eccomi, qui, sono un minutino in ritardo. Uh, che brutto qua, per niente chic, andiamo via”.

Ecco, la cosa più tragica. Ogni quattro parole, una era “chic”. Robe da far crepare un highlaender.

“Sei stato al mare? Che chic”
“Hai visto che bel film? Che chic”
“Anche tu lo zainetto a tracolla? Che chic”

E io che ceravo di rammentare perché non mi fossi lanciato nel primo lago.

Il maldido passa all'azione.

UdG: “Facciamo due passi?”
P.P.: “Minchia, sì... Cioè, volentieri”. Per la serie. Non voglio che la gente mi veda con te, penserà che sono un assistente sociale. Che lavora gratis. Quindi un coglione.

Arriviamo in mezzo alle vigne dopo 45 minuti di buon passo.

UdG: “Ci fermiamo qui un po'?”
P.P. (intuendo il pericolo): “Ma no, camminiamo ancora per un paio di minuti”.

Morale. Lo trascino un'ora e mezza in giro per questo paese, dribblando ogni tentativo di approccio e appartamento. Nel senso che mi avrebbe invitato anche a casa sua anche se “c'è quella stronza della mia matrigna che spero che muoia quanto prima”. Ah bene, un animo sensibile.

Alla fine, riesco a sganciarmi.

Ciao ciao, grazie grazie, troppo gentile, che chic, ecco appunto, dai che ci sentiamo, volentieri (falso!), che chic, ecco, ciao, ciao.

Più sentito... Ma ogni volta che uno dice “chic” mi parte la girandola dei ricordi.. e di una scarpinata da far invidia a Mennea...

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